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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Piazza  Santi Apostoli (R. II - Trevi) (vi convergono: via dei SS Apostoli, via di San Marcello, via del Vaccaro, via Cesare Battisti, via IV Novembre)

 I Colonna [1], ramo cadetto  dei “conti de Tuscolano”, ebbero in proprietà quest’antichissimo palazzo [2] che il capostipite dei Tuscolani aveva posseduto in Roma, e dove, quei conti, come consoli dei romani, avevano spesso tenuto il loro tribunale.
In seguito alla distruzione della città di Tuscolo (17 aprile 1191) la famiglia originaria si sciolse  a Roma e nella campagna, in diversi rami [3]

Dal sec. IX al X compaiono i Conti di Tuscolo che, signoreggiando sulla città di Tuscolo e sul territorio limitrofo per circa cinque secoli, dando numerosi Papi, vari vescovi e capitani potenti, dominarono anche sull’Urbe.

Il loro albero genealogico, accertato finora, non risale più in là di Teofilatto e Teodora (sec.IX-X) genitori di Marozia [4] sposa di Alberico, avo di Gregorio I conte di Tuscolo [5]; la famiglia di Teofilatto, romana di origine, nel sec. X aveva la sua casa nella regione di via Lata; ivi, prossima a S.S. Apostoli, l’ebbe Alberico ed i suoi discendenti, ove abitarono ed abitano i Colonnesi che derivano dai conti tuscolani.

La chiesa primitiva, costruita da papa Giulio I (337-352), ebbe la pianta dell’”Apostoleion” di Costantinopoli; forma a croce che conservò fin nel secolo XV nonostante i forti cambiamenti già avvenuti.

La basilica degli Apostoli Filippo e Giacomo minore (ora Santissimi XII Apostoli) fabbricata sulla primitiva sotto Narsete (478-574), a commemorazione della vittoria bizantina contro i Goti (321), era stata edificata da Pelagio I (556-561) e proseguita da Giovanni III (561-574) [6] che con Narsete condusse a termine e dedicò il tempio [7]..
La chiesa era situata, in forme greche [8], sulla  via Palatino-Terme costantiniane, alle falde del Quirinale, il cui pendio era orlato di  grandi portici, che attorniavano la splendida basilica dei Greci in Roma [9].

Un’antica iscrizione nell’abside celebrava il pontefice (Pelagio I) che “nel tramonto del mondo” aveva creato un’opera così sontuosa (Despexit mundo deficiente premi) ed esortava i fedeli a quelle reliquie traslate dall’Oriente: “Quisquis lector adest Jacobi pariterque Philippi, Cernat apostolicum lumen inesse locis”.

I deplorevoli rifacimenti furono in parte del Medioevo e in parte di Giulio II (1503-1513), da cardinale,  e  poi  dei  papi  Clemente XI (1700-1721) e  Benedetto XIII (1724-1730).

Nell’adattare, sotto la chiesa, la cripta moderna (1873), dentro l’antico altare maggiore fu trovato il piccolo altare delle reliquie, che, come di rito, consacrava le nuove chiese.
Gli architetti di Giovanni III (561-574), per erigerlo, formarono con fini lastre di pavonazzetto una cameretta quadrata ricoperta da una lastra, fregiata del rilievo di una croce a bracci quasi uguali.
Dal mezzo del fondo, un’apertura rotonda congiungeva la cameretta con uno spazio minore contenente le reliquie.
Sul davanti della cameretta superiore era la “fenestella [10]” per il passaggio degli oggetti, per i quali si desiderava quasi una consacrazione.
Questa specie di scrigni, simili a quello dei SS. Cosma e Damiano, appartenevano tutti allo stesso tempo e ne furono scoperti in luoghi disparatissimi.

Nel secolo XVI, anziché ai due santi eponimi fu intitolata: "Basilica duodecim Apostolorum" (Piazza omonima).

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[1] )         I Colonna, che una leggenda disse discendenti da Ercole, che sullo stretto Gaditano (stretto di Gibilterra) eresse le due famose colonne. Altri vide il loro capostipite in Caio Mario (156-86 a.C.) o Traiano (98-117), altri ancora credevano in una complicata vicenda: "Un guardiano di mandrie, che, facendo pascolare alcune vacche, si trovò in un prato davanti ad un palazzo disabitato, che egli volle visitare. Nel cortile trovò una colonna sormontata da una vasca piena di monete, ma al suo gesto d’impadronirsene di qualcuna, una voce gli gridò: "Dimitte, quia non est tuo". Ritiratosi spaventato, digerì la fifa dopo qualche giorno, e, ritornato sul posto, la stessa voce gli ingiunse: "Accipe tres denarios et invenies in Foro, cuius est hec pecunia”. Obbediente, il mandriano si recò nel Foro ed a un povero sopraggiunto dette le tre monete. Questi che era un dovizioso principe (viaggiava in incognito) lo condusse nella sua casa e dopo qualche tempo gli dette in moglie la sua figlia. Con le ricchezze del suocero, aggiunte al tesoro della colonna, del quale s’era reso padrone, formò la famiglia potente che fu capostipite dei Colonna".

[2] )            Vi abitò Maria Mancini, nipote di Mazzarino, la fiamma di Luigi XIV. Fu accolta da Pasquino con la satira: “La vacca è attaccata alla Colonna”, mentre in Francia aveva detto di lei Benserade: “Cette petit muse, en cherines, en attraits. N’est à pas une inferieure- aussi pas une jamais,- N’eut l’esprit et le sein formes de si bonne heure“.

[3] )            "La sera della 30 aprile 1526 il cardinale Pompeo ed il principe Ascanio Colonna, in occasione del possesso del papa Clemente VII, al ritorno da San Giovanni, avevano ricevuto il Pontefice al palazzo Colonna in piazza SS. Apostoli, in quella parte stessa che era stata fabbricata da San Giulio I (337-352). Il cardinale Pompeo cantò il vespro e l'arcivescovo di Siponto  pronunciò un eloquente orazione. Terminata la cerimonia, Clemente VII (Giulio de´ Medici) risalì nel palazzo Colonna, ove ebbe luogo un banchetto al quale intervennero 14 cardinali e il Duca di Sessa. Dopo, nella contigua basilica, ebbe svolgimento una festa (e fu per l'ultima volta) che tradizionalmente, ogni 1 maggio, si teneva proprio entro la Basilica. Dall'alto della chiesa venivano gettati al popolo quaglie, pernici, pavoni ecc. che doveva guadagnarseli a forza. Anche i frati minori conventuali, del prossimo convento avevano formato un gruppo di resistenza da un lato della chiesa per impadronirsi di qualche volatile che arricchisse la loro mensa. Degli uccelli venivano gettati anche dai cardinali intervenuti, dalle finestre del palazzo Colonna che erano prospicienti, entro il tempio. Lo stesso pontefice lanciò, quella volta, alla folla qualche uccello. Terminato questo gioco si faceva poi quello della cuccagna. Dal soffitto della navata centrale si faceva pendere, legato ad una fune, un maiale grasso ucciso e sventrato, ma non spogliato della cotenna. Molti tini pieni d’acqua, erano pronti vicino a varie aperture praticate nel soffitto e alcuni servi erano lì pronti per il getto dell’acqua sui contendenti che si affaticavano a risalire la corda insaponata, e fissata al pavimento con un anello di ferro. Intorno alla cuccagna era eretto uno steccato, per lasciare liberi i contendenti, ma il diluvio d’acqua colpiva non solo gli arrampicatori ma anche gli astanti, che però non se ne davano carico e non abbandonavano il posto conquistato finché uno dei concorrenti non riusciva a tagliare con un coltello i legami che reggevano il maiale. E questo per lunghi anni, ogni 1° maggio, fino a quel 30 aprile 1526" .

[4] )            Il vescovo di Cremona disse di lei: "Scortum impudens satis". E il monaco del Soratte "Subiugatus est Romam potestative in manu femine sicut in propheta legimus: Feminini dominabuntur Hierusalem" così sgrammaticando scrisse.

[5] )            Vuolsi che Gregorio II (715-731) sia stato padre di Pietro Colonna. e con Pietro Colonna, nel 1101, la Famiglia Colonna fa la sua prima comparsa nella storia: "Petrus de Columna Cavas, oppidum de iure beati Petri, invaserat". Pietro fu forse un figlio di Gregorio di Tuscolo fratello di Benedetto IX (Teofilatto III dei Conti di Tuscolo - 1032-1045/1047-1048) e prese il nome dal castello Colonna sulla via Labicana. Fu questa piccola rocca che fece chiamare ´´de Columna´´ quel ramo dei Tuscolo. Per loro impresa usavano in comune i giunchi col motto "Flectimur non frangimur undis" . Altri attribuisce l'origine del loro nome alla vicinanza della loro abitazione in Roma, alla colonna traiana.

[6] )            Sull’abside dell’antica chiesa, prima che nel 1702 Clemente XI la rifabbricasse lasciando solo 6 colonne dell’antica, era scritto: "Pelagius cepit, complevit papa Ioannes. Unum opus amborum par micat et meritum".

[7] )            Ha una campana del 1624, una del 1625 ed una più moderna.

[8] )            La Chiesa Greca di Rito Bizantino comprende oggi gli Esarcati apostolici della Grecia e della Turchia. Dal 1054, la cristianità di Bisanzio ignora ufficialmente la cristianità di Roma. Infatti il distacco di Bisanzio da Roma, se sotto Fozio (815-891) fu netto e totale, è anche vero che con la morte di lui cessò e che solo col patriarca Michele Cerulario (1043-1058), che, come già Fozio, non volle ammettere la supremazia del Papa nelle questioni di Fede, la separazione fra Roma e Bisanzio diventò definitiva (nonostante le effimere riunioni del XIV concilio generale di Lione nel 1244 e di quello di Firenze, alla presenza di Eugenio IV e dello stesso imperatore Giovanni VIII Paleologo nel 1439). A Roma, già sotto Narsete (478-569) a commemorazione della vittoria bizantina contro i Goti (321), era stata edificata, da Pelagio I, la basilica degli apostoli Filippo e Giacomo Minore, in forme greche. Anche il monastero delle "Aquae Salviae" o "Tres Fontane" ebbe in Narsete il fondatore: "Narsus fecit Ecclesia cum Monasterium Beati Pauli Apostoli, qui dicitur ad Aquas Salvias".
Ai piedi del Palatino, un presidio militare bizantino, che stava a guardia degli imperatori d'Oriente, o dei duchi che li rappresentavano, dette (dal VII al X secolo, insieme alle scuole biblioteche ed ospizi della colonia bizantina ivi ubicata) il nome di "Schola Graeca" a quella località e "Ripa Graeca" fu chiamata la prossima riva Tiberina. Memoria di quel lontano passato è oggi la via della Greca" che costeggia l'antica "Ecclesia Graecorum" poi detta di Santa Maria in Cosmedin (piazza Bocca della Verità). Molte chiese in Roma furono, attraverso i secoli, affidate a monaci e sacerdoti greci: San Teodoro; San Saba; Sant’Adriano in Tribus foris; Sant’Apollinare; S. Cesareo in Palatio con l'annesso monastero greco; S. Caesarius de Appia o in Turris, affidata ai monaci basiliani ed ancora Santa Maria in Aracoeli, dove un Hegumenos (Abbate) abitava con i suoi monaci; S.S. Cosma e Damiano; S.S. Sergio e Bacco, presso l'arco di Settimio Severo; Santa Anastasia; Sant’Alessio; San Basilio nel tempio di Marte, e molte altre ancora. Adesso il seminario Greco, che, come per altre nazioni, ha sostituito le scuole e gli ospizi di un tempo, sta in via dei Greci ed ha annessa la Chiesa di Santa Anastasia in via del Babbuino.  Altra chiesa che officia in rito Bizantino, è quella di Sant'Antonio, in via Carlo Alberto, che ha annesso il seminario russo (il Russicum)  istituito da Pio XI (1922-1939) ad istruzione del clero russo. Anche la chiesa di San Basilio, esistente nella via omonima, appartenendo ai monaci brasiliani, pratica, come a Grottaferrata, il rito greco.

[9] )             Le residue colonne, di marmo pentelico, sono visibili oggi in una cappella laterale

[10] )           Piccole aperture, generalmente quadrate di 25 cm² fatte intenzionalmente, allo scopo di permettere la vista del sepolcro del martire e di far scendere fino ad esso qualche oggetto; questo particolare è visibile nella cosiddetta "Confessio" degli altari.

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Palazzi, Edicole e Chiese lungo la via:

- La Chiesa dei SS XII Apostoli - Interno
- La Chiesa dei SSXII Apostoli - Lapidi
- La Chiesa dei SS XII Apostoli - Il Portico
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La - Piazza (Lapidi, Edicole e Palazzi)

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Al n. 19 di Via dei SS. Apostoli, Vittorio Podrecca diede vita, nel 1914, al Teatro dei “Piccoli di Podrecca”, allogiato nell’ex scuderia del palazzo dei principi Odescalchi.

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Via dei SS Apostoli
Lapide a Benedetto Brin

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